Testo di Elisa Piccioni
La rottura del tendine d’Achille è un infortunio che si verifica più comunemente nei soggetti che praticano sport. La lesione può essere parziale o totale e in quest’ultimo caso l’approccio scelto è quasi sempre quello chirurgico.
Cenni di anatomia del tendine d’Achille
Il tendine d’Achille è un tendine molto resistente, il più robusto del nostro corpo, che nasce dalla fusione del muscolo gastrocnemio e soleo. Collega i muscoli del polpaccio (tricipite surale) al calcagno, ed è responsabile di molti movimenti di spinta del piede durante le fasi del passo, del salto e della corsa.
Cause della lesione del tendine d’Achille
Le cause della lesione possono essere:
- Traumatiche
- Microtraumatiche, o da sovraccarico funzionale
- Su base infiammatoria
Esistono dei fattori di rischio che possono essere intrinseci o estrinseci, quindi essere conseguenza di condizioni fisiche del soggetto o esterne a lui.
I fattori intrinseci sono ad esempio:
- l’anatomia del soggetto stesso, che devia e modifica la distribuzione fisiologica del carico sul piede con conseguenze sul tendine
- le malattie dismetaboliche che alterano la conformazione del tessuto tendineo, provocandone un invecchiamento precoce
- l’età e gli anni di attività sportiva.
I fattori estrinseci sono quelli che non dipendono dall’individuo e diventano spesso determinanti per le lesioni tendinee:
- attività sportiva svolta con modalità scorrette
- terreno non confortevole
- calzature non adatte.
La rottura completa è spesso traumatica e, quasi sempre, colpisce gli atleti durante i blocchi di partenza o cambi di direzione improvvisi. Sono comuni, infatti, in sport come il calcio, la corsa o il padel.
Quali sono i sintomi della lesione del tendine d’Achille?
Nella maggior parte dei casi, la lesione si estende nella zona inserzionale del tendine.
Solitamente il paziente descrive l’episodio con la sensazione di un calcio diretto sul tallone contemporaneo a uno schiocco o un crack. In un secondo momento compare il dolore e segni evidenti della lesione:
- incapacità di sopportare il peso sull’arto colpito
- debolezza e rigidità della caviglia
- perdita di forza nella flessione plantare e impossibilità di andare sulle punte
- difficoltà nella deambulazione e zoppia
- possibile gonfiore intorno al tallone.
Come avviene la diagnosi?
Che la lesione sia conseguenza di traumi o microtraumi, il quadro clinico del soggetto diventa da subito chiaro e limitante. È fondamentale affidarsi da subito ad un professionista del settore che lo guiderà verso la guarigione e il recupero completo. La diagnosi si fonda su due fasi:
- esame clinico
- esami strumentali diagnostici: RX, ecografia o Risonanza Magnetica.
Durante l’esame clinico l’operatore studia l’anamnesi del paziente per capire se ci sono fattori predisponenti nelle sue attività quotidiane e per studiare le dinamiche del trauma. In un secondo momento, si dedica a osservare la zona alla ricerca di gonfiore e poi alla somministrazione di esami clinici (es: palpazione, test di Matles e test di Thompson).
La diagnosi è praticamente clinica ma, per confermala, possono essere utili le indagini diagnostiche: la radiografia per escludere fatture annesse, e l’ecografia o risonanza magnetica per evidenziare e quantificare la lesione del tendine d’Achille.
In base alla quantità di fibre coinvolte, si possono classificare le lesioni in base al tipo:
- 1: lesioni parziali con coinvolgimento di meno del 50% delle fibre
- 2: rottura completa con gap tendineo ≤3 cm
- 3: rottura completa con gap tendineo da 3 a 6 centimetri
- 4: rottura completa con gap >6 centimetri.
Come si tratta la lesione a tendine d'Achille?
Una volta ricevuta la diagnosi e quantificata la lesione, si aprono due strade di trattamento: conservativo o chirurgico. La scelta viene fatta dal chirurgo ortopedico che terrà conto delle esigenze e caratteristiche del paziente: età, obiettivi sportivi, grado di lesione, qualità del tessuto.
Il trattamento conservativo prevede l’immobilizzazione della caviglia con un tutore che avvicina le due estremità di lesione e ne facilita la guarigione. A questo può essere affiancata della fisioterapia che si occupa di controllare e ridurre il dolore, l’infiammazione e l’edema. Il carico immediato è a discrezione dell’ortopedico.
L’intervento chirurgico può essere eseguito con diverse metodiche.
Trascorsa la fase acuta, o i primi giorni post operatori, è necessario lavorare in maniera funzionale sul tendine tramite la fisioterapia che ha come obiettivo il ripristino delle attività quotidiane del soggetto. Il fisioterapista aiuterà il paziente a:
- Recuperare l’articolarità della caviglia che è stata immobilizzata
- Ripristinare l’elasticità del tendine
- Prevenire la formazione delle aderenze con terapia manuale sulle cicatrici
- Rieducare la distribuzione del carico e le fasi corrette del passo
- Rinforzare la muscolatura
- Allenare l’equilibrio e la propriocezione.
Raggiunti tutti questi obiettivi è utile, soprattutto per gli sportivi, rivolgersi ad un personal trainer specializzato che si dedicherà alla riatletizzazione in modo da consentire un ripristino del gesto sportivo ed un rientro all’attività sicuro e privo di rischi di recidive
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