Generalità, cause e diagnosi delle fratture di omero

La frattura del terzo prossimale di omero rappresenta un evento traumatico che può coinvolgere:

– la testa dell’omero

– le tuberosità (trochite o trochine)

– la diafisi

Essa colpisce maggiormente soggetti over 65; le donne sono più interessate degli uomini in un rapporto di 4:1.

Nei pazienti anziani, o con osteoporosi, è sufficiente un lieve trauma per incorrere in una frattura (per lo più traumi domestici), mentre nei soggetti giovani, visto il maggiore tono calcico, è necessario un trauma ad alto impatto e la frattura che ne risulta è spesso più grave.

La diagnosi avviene attraverso gli esami strumentali, quali:

  • RX (proiezione AP reale)/TAC per valutare il numero di frammenti ossei, la loro scomposizione ed i rischi vascolari
  • RMN per valutare lo stato dei tessuti molli

Trattamento delle fratture del terzo prossimale di omero

Il trattamento ha lo scopo di raggiungere la consolidazione ossea e di ripristinare l’anatomia e la funzionalità della parte lesa.

A seconda delle caratteristiche della frattura esso può essere:

  • Conservativo: sono candidate a questo tipo di approccio le fratture composte o, minimamente scomposte; in questa tipologia di approccio è previsto l’uso del tutore come mezzo di immobilizzazione, che favorirà la formazione del callo osseo e un percorso fisioterapico.
  • Chirurgico: sono candidate a questo approccio le fratture scomposte; in questo caso la chirurgia consiste nell’applicazione di placche, viti, fili, o la sostituzione protesica seguita da un periodo di immobilizzazione e poi fisioterapia.

Trattamento conservativo delle fratture di omero

Il trattamento conservativo consiste nella riduzione a cielo chiuso della frattura e nella successiva stabilizzazione per ridurre la mobilità dei frammenti.  Sono candidate a questo trattamento le fratture che hanno una scomposizione minima dei frammenti; quindi, una configurazione stabile e non vi sono rischi di tipo vascolare.

In questo tipo di fratture, la riabilitazione deve avvenire nel rispetto dei tempi necessari per una stabilizzazione naturale della frattura. Pertanto, in seguito a un primo periodo di immobilizzazione in tutore per 3/4 settimane, il chirurgo, accertata la stabilità clinica, consentirà l’inizio della mobilizzazione passiva che, nel primo periodo, dovrà comunque avvenire in un arco di movimento protetto, progredendo poi a incrementare il range articolare.

Trattamento chirurgico delle fratture di omero

Il trattamento chirurgico consiste nel ricostruire o sostituire i segmenti coinvolti attraverso mezzi di sintesi: chiodo endomidollare, viti, placche, o protesi (anatomica o inversa). Sono candidate a questo trattamento le tipologie di fratture con rischi vascolari e scomposizione alta dei frammenti (oltre 10mm).

La riabilitazione di questa tipologia di frattura varia a seconda del tipo di intervento:

–  ORIF (Open Reduction Internal Fixation): consiste nella fissazione dei segmenti di frattura tramite placche e viti metalliche. La riabilitazione in questi casi inizierà in un periodo successivo all’immobilizzazione in tutore che può variare da 10 giorni a 3/4 settimane, quest’ultimo è il caso di pazienti anziani, osteoporotici o con fratture molto complesse. L’obiettivo è quello di recuperare gradualmente l’articolarità e la funzionalità dell’arto coinvolto.

–  EMIARTROPLASTICA: consiste nella sostituzione della sola componente omerale, la componente glenoidea viene preservata. È un intervento meno diffuso, a cui il chirurgo ricorre se ci sono determinati requisiti, come il non coinvolgimento delle tuberosità (trochite, trochine) e l’età (pazienti giovani).  In questo caso, dato il reinserimento delle tuberosità sull’impianto e il ruolo fondamentale della loro vascolarizzazione, bisognerà ritardare l’inizio della riabilitazione a 2/3 settimane post-chirurgiche, procedendo con una cauta mobilizzazione.

–  PROTESI: consiste nella sostituzione dell’articolazione gleno -omerale con mezzi di sintesi. Essa può essere di due tipi, anatomica o inversa.

Protesi di spalla

La protesi anatomica consiste nella sostituzione dell’articolazione con mezzi di sintesi che ricostruiscono l’anatomia della spalla, può essere totale (artroprotesi) o parziale (endoprotesi). La riabilitazione comincerà dopo 3/4 settimane di tutore, con una prima fase di circa 6 settimane in cui l’obiettivo sarà quello di recuperare l’articolarità da 0 a 90°, ad arco doloroso escluso, successivamente si procederà all’attivazione progressiva della muscolatura della cuffia e il recupero totale dell’articolarità

La protesi inversa, come suggerisce il nome, inverte le superfici anatomiche dell’articolazione della spalla, ovvero: il capo osseo convesso, l’omero, viene sostituito da uno stelo con estremità concava che si articola con una superficie sferica inserita al posto della cavità glenoidea.                 In tal caso sono molti gli elementi che possono influire sulla riabilitazione post-operatoria, come lo stato pre-operatorio dell’articolazione, dei muscoli e dei tendini; la qualità ossea; l’integrità della parte restante della cuffia dei rotatori; il motivo per cui si è resa necessaria la protesi.              La riabilitazione, anche in questo tipo di impianto protesico, inizierà dopo l’immobilizzazione in tutore in un periodo che varie dalle 2 alle 4 settimane a seconda della salute dei muscoli e tendini: quando la cuffia viene riparata chirurgicamente la qualità dei suoi tendini è scarsa, quando invece mantiene una residua funzione consente una progressione riabilitativa più rapida.

Per consentire la ripresa delle attività di vita quotidiana è utile fin dalle prime fasi eseguire esercizi che stimolino la muscolatura scapolo-omerale. Di fronte a pazienti relativamente giovani e che richiedono di tornare a svolgere l’attività sportiva, sarà invece necessario un lavoro di rinforzo specifico, introducendo esercizi che simulino progressivamente i gesti atletici nell’ultima fase riabilitativa. Il ritorno allo sport è un obiettivo raggiungibile anche a seguito di un intervento di protesi inversa, compatibilmente al tipo di sport e al gesto atletico che coinvolge specificatamente l’arto affetto.

 

Testo di Rosita La Terza

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