Anatomia del femore

Il femore rappresenta la prima struttura ossea che si trova nella coscia, si articola superiormente con il bacino per formare l’articolazione dell’anca e distalmente (nel punto più lontano) con la tibia per formare l’articolazione del ginocchio.

Il femore è un osso lungo ed è composto da due parti distali (epifisi) e una parte centrale (diafisi), ciascuna offre inserzione a legamenti e muscoli importanti per la deambulazione.

La testa del femore, ovvero la parte più prossimale di questo osso, si articola con l’acetabolo (struttura concava composta dall’incontro delle tre ossa del bacino: ileo, ischio e pube) per formare l’articolazione dell’anca e, per i suoi 2/3, ha la forma di una sfera liscia con al centro una piccola fossetta (chiamata anche fovea capitis). Questa fossetta rappresenta il punto di inserzione per il legamento rotondo, struttura fondamentale che stabilizza l’articolazione dell’anca, collegando l’acetabolo alla testa del femore e nutre la stessa attraverso l’arteria del legamento rotondo.

Il collo del femore è invece la struttura ossea, di forma quasi cilindrica, che collega la testa al corpo del femore, formando con quest’ultimo un angolo di circa 130°. Questo angolo permette all’anca un ampio grado di movimento su più piani dello spazio.

Il grande trocantere, processo osseo palpabile di forma quadrangolare posto tra il corpo e il collo del femore, permette l’inserzione di diversi muscoli della coscia (come il piriforme, i muscoli otturatori, il piccolo e medio gluteo) che permettono i movimenti dell’anca e la mettono in rapporto rispetto alle ossa del bacino.

Il piccolo trocantere è invece un processo osseo più piccolo, sporge verso la parte interna ed è posizionato appena sotto il collo. Questa struttura risulta essere il punto di inserzione di un muscolo molto importante per la flessione e la rotazione esterna dell’anca: il muscolo ileo-psoas.

Il corpo del femore è la zona, con un orientamento mediale, compresa tra le due epifisi distali, ha la forma simile a quella di una clessidra e nella parte posteriore presenta una cresta ossea longitudinale chiamata “linea aspra”. Quest’ultima serve ad accogliere tre dei sette muscoli adduttori della coscia e a fornire l’aggancio per il muscolo grande gluteo che entra in gioco nel movimento di estensione, abduzione e intrarotazione dell’anca.

La porzione distale del femore, ovvero quella più lontana dal tronco, è più larga di quella prossimale e prende rapporti con la tibia e la rotula per formare l’articolazione del ginocchio. In questa porzione si possono riconoscere due prominenze anatomiche importanti, il condilo mediale e il condilo laterale, che si articolano con la tibia attraverso i due menischi (uno interno e uno esterno) nella loro parte inferiore, mentre nella superiore con la rotula come detto precedentemente.

Il femore, visto nel suo complesso, è un osso indispensabile per la corretta ripartizione del carico del corpo sull’arto inferiore e per la deambulazione del soggetto. Questa attività viene infatti svolta in un primo momento dai cosiddetti muscoli stabilizzatori dell’anca e tra questi ricordiamo:

  • ileo psoas (formato dall’unione tra il muscolo grande psoas e il muscolo iliaco)
  • piccolo, medio e grande gluteo
  • piriforme
  • gemelli (superiore e inferiore)
  • otturatori (interno ed esterno)
  • adduttori

Patologie e problematiche del femore

Le problematiche che possono coinvolgere il femore, oltre alla displasia e all’artrosi dell’anca, sono le fratture dell’estremità prossimale del femore e/o della sua diafisi e la necrosi avascolare della testa del femore.

Le fratture dell’estremità prossimale del femore (tra cui troviamo la frattura della testa del femore) sono la principale causa di allettamento nella popolazione anziana e spesso sono la causa di morte di questi soggetti. Il trattamento di queste fratture è il più delle volte chirurgico e prevede l’impianto di una protesi d’anca che sostituisce la testa del femore non più vascolarizzata e l’acetabolo oppure, ove sia possibile, l’inserimento di un chiodo endomidollare per stabilizzare la frattura stessa.

Le fratture del corpo del femore sono invece più rare poiché prevedono traumi violenti, come quelli che avvengono ad esempio negli incidenti stradali e possono portare conseguenze importanti come la “gamba corta” e la paralisi del nervo femorale.

Necrosi avascolare de femore: di cosa si tratta

La necrosi avascolare della testa del femore (chiamata anche osteonecrosi della testa femorale) determina un’ischemia, ovvero un’interruzione nell’apporto di sangue a livello del polo superiore della testa del femore, causata da un danno all’arteria circonflessa femorale mediale che normalmente garantisce la vascolarizzazione di questa struttura. La conseguenza di questa patologia risulta essere un vero e proprio “infarto” locale dell’osso e dunque la necrosi (morte) del tessuto stesso che collassa.

La porzione interessata dalla necrosi inizia, nel tempo, a deformarsi sotto il carico del corpo fino ad appiattirsi e determinare, inevitabilmente, un processo artrosico dell’anca (coxartrosi).

Questa patologia porta a una vera e propria disabilità e dev’essere assolutamente seguita tanto da un punto di vista clinico/diagnostico quanto terapeutico.

Altre zone che, meno comunemente, possono andare incontro a una necrosi avascolare sono il ginocchio, l’astragalo e la testa dell’omero. Più raramente può essere coinvolta anche l’articolazione temporo-mandibolare.

Quali sono i sintomi della necrosi avascolare della testa del femore?

I sintomi principali di questa patologia sono:

  • Dolenza importante a livello dell’inguine e, a volte, anche a livello del gluteo
  • Dolore, spesso presente anche a riposo, che aumenta sotto carico e/o con il movimento dell’articolazione

Nelle prime fasi il soggetto può non avere grandi limitazioni nel movimento ma, con il passare del tempo, solitamente insorge un’artrosi secondaria che può portare difficoltà e dolore durante la deambulazione e durante lo svolgimento di alcune attività quotidiane. Tuttavia, bisogna ricordare che questa patologia, a differenza della classica artrosi su base degenerativa, ha un esordio brusco e quasi da subito limitante.

Quali sono le cause della necrosi della testa del femore?

Le cause di questa patologia non sono ancora ben note, ma si possono distinguere due forme principali di osteonecrosi della testa del femore:

  • primitiva (o idiopatica), che interessa principalmente gli uomini con età compresa fra i 40 e i 50 anni, è la forma più frequente
  • secondaria, che interessa i soggetti con pregresse patologie o problematiche del femore o della testa del femore come fratture, lussazioni dell’anca, terapie a base di cortisone effettuate per periodi lunghi, radioterapia locale ad alti dosaggi

I fattori di rischio che possono determinare la necrosi primitiva sono:

  • Il sovrappeso/obesità
  • L’abuso di alcol
  • L’iperuricemia (elevata concentrazione di acido urico nel sangue)
  • Il colesterolo e i trigliceridi alti
  • Il diabete mellito
  • Il fumo di sigaretta

Gli esami per diagnosticare la necrosi avascolare della testa del femore sono:

  • Negli stadi iniziali (primi sei mesi), la risonanza magnetica, che permette di identificare da subito l’area necrotica
  • Negli stadi avanzati, la radiografia standard, che vede le alterazioni morfologiche della struttura e la frattura subcondrale dell’osso dopo l’insorgenza della patologia

Necrosi avascolare della testa del femore: trattamento e riabilitazione

La guarigione da questa patologia è possibile solo negli stadi iniziali, quando la testa del femore risulta essere ancora sferica poiché, una volta che questa si appiattisce, deformandosi, si va inesorabilmente incontro all’insorgenza dell’artrosi e la necessità, nei casi più gravi, dell’impianto della protesi.

Il trattamento chirurgico nelle fasi iniziali di questa patologia mira a ripristinare la corretta circolazione nell’area ischemica e consiste nella decompressione della testa del femore (“decompressione del nucleo”) associata, spesso, a un innesto osseo prelevato dal paziente o da un donatore per favorire la rigenerazione dell’osso non lesionato. La decompressione consiste nella perforazione della zona necrotica per diminuire la pressione sull’osso e favorire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questa metodica impedisce la progressione della patologia ma deve essere eseguita nei primi stadi e nei soggetti giovani (età inferiore ai 60 anni), altrimenti bisogna ricorrere alla protesi d’anca come trattamento definitivo.

Gli interventi di tipo conservativo si possono attuare nei primissimi stadi della patologia, quando un riscontro della stessa si può avere solo con la risonanza magnetica, bisogna però tener presente che questo approccio non cura la zona necrotica bensì diminuisce il dolore e rallenta la progressione della malattia.

Il trattamento conservativo prevede sedute di fisioterapia, riduzione del carico durante la deambulazione con l’utilizzo di due stampelle e la tempestiva modifica degli stili di vita scorretti, quali l’abuso di alcol, nonché la riduzione dell’assunzione di terapie cortisoniche (sempre sotto stretto controllo medico). È fondamentale in questi casi intervenire il più precocemente possibile e monitorare costantemente sia l’andamento clinico che quello radiologico, per controllare l’evoluzione della malattia nel tempo.

La fisioterapia per la necrosi della testa del femore

La fisioterapia viene, dunque, consigliata a prescindere dallo stadio della patologia, per migliorare e/o preservare la mobilità dell’anca attraverso la mobilizzazione (attiva e passiva) dell’articolazione, la rieducazione posturale e gli esercizi terapeutici. Risulta fondamentale, infatti, lavorare sulle alterazioni posturali di compenso che il paziente attua per non sentire il dolore e mantenere sempre un buon tono muscolare che inevitabilmente si perde a causa della riduzione delle possibilità di carico sull’arto interessato. È importante lavorare bene anche sullo schema del passo (con o senza stampelle) e fare, sempre seguiti dal terapista, degli esercizi propriocettivi per migliorare l’equilibrio e la sicurezza durante il cammino per evitare ripercussioni secondare su altre strutture del corpo come la colonna lombare e le ginocchia che spesso vanno in sofferenza in questa condizione clinica.

L'idrokinesi per la necrosi della testa del femore

Ove possibile risulta utile abbinare alla fisioterapia “a secco”, l’idrokinesiterapia, ovvero la terapia in acqua, per migliorare ulteriormente la mobilità di tutte le articolazioni, diminuendo la percezione del dolore e del sovraccarico da parte del paziente. Anche l’utilizzo di terapie strumentali biostimolanti, quali il laser ad alta potenza, la tecarterapia e le onde d’urto risulta essere efficacie nella diminuzione del dolore e nella stimolazione della riparazione tissutale con effetti antinfiammatori locali.

Si ricorda tuttavia che la prevenzione risulta essere l’arma migliore per affrontare questa patologia, si consiglia dunque uno stile di vita sano, lo svolgimento di un’attività fisica “su misura” e il tempestivo intervento fisioterapico qualora si presentassero sintomi, anche lievi, che se trascurati possono degenerare.

Testo di Alessandra Del Vecchio

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